venerdì 23 settembre 2011

Il racconto fenicio

Il racconto fenicio, anzi, "un qualcosa di fenicio", è un mito di fondazione, che si differenzia dai miti narrati dai poeti perché è artificiale e dichiaratamente falso, tanto che Socrate lo espone con esitazione e vergogna. [414e] La sua funzione è la legittimazione della gerarchia politica, prima per i governati e, dopo una generazione, anche per i governanti.

Cercherò di persuadere prima gli stessi governanti e i soldati, poi anche il resto dei cittadini, che tutta quell'educazione fisica e spirituale che noi davamo loro, essi credevano di sentirla e di riceverla, ma non erano che dei sogni; e veramente allora essi si trovavano entro la terra, già plasmati e allevati, essi stessi, le loro armi e tutto il resto del loro equipaggiamento. E quando in ogni dettaglio fu ultimata la loro preparazione, la terra loro madre li mise alla luce: ora essi sono tenuti a provvedere e a difendere la terra che abitano come se fosse la loro madre e nutrice, se qualcuno l'assale, e a considerare gli altri cittadini come fratelli e "nati dalla terra"... [414d-e]
Continuando il racconto, diremo loro così: voi tutti nella polis siete fratelli, ma il dio, mentre vi plasmava, a quelli di voi che hanno attitudine al governo mescolò, nella loro generazione, dell'oro, e perciò altissimo è il loro pregio; agli ausiliari, argento; ferro e bronzo agli agricoltori e agli altri artigiani. Per questa generale comunanza di origine, dovreste generare flgli per lo più simili a voi; ma c'è caso che da oro nasca prole d'argento, e da argento prole d'oro, e così reciprocamente nelle altre nascite. Perciò il dio ordina prima e particolarmente ai governanti di non essere di nessuno tanto buoni guardiani e di non custodire nulla con tanto impegno quanto i figli, osservando attentamente quale fra questi metalli si trova mescolato nelle anime loro; e se uno stesso loro figlio ha in sé alla nascita bronzo o ferro, di non averne nessuna pietà, ma di usare alla physis il riguardo dovutole e di respingerlo tra gli artigiani; e reciprocamente, se da costoro nascono figli che abbiano in sé oro e argento, di rendere loro gli onori dovuti e d'innalzare questi ai compiti di custodia, quelli ai compiti di difesa; perché esiste un oracolo per cui la polis sia destinata a perire, quando la sua custodia sia affidata al guardiano di ferro o a quello di bronzo. [415a-c]


Nel primo volume di The Open Society and Its Enemies (1945), Popper ribattezza questo racconto, con una assonanza nazista, come il "mito del Sangue e del Suolo", e lo interpreta come una prova del razzismo e del totalitarismo di Platone. Il Socrate platonico, tuttavia, ha cura di precisare che il racconto fenicio, con il suo insistito esotismo, è una menzogna, vergognosa, ancorché nobile.

Perché Socrate racconta un mito dichiaratamente falso?

Il racconto fenicio è una curiosa anomalia, proprio perché si precisa che è una artificiosa menzogna. Platone non era affatto obbligato a far compiere al suo Socrate questa precisazione: per esempio, nel Gorgia, il mito delgiudizio dei morti viene trattato come un logos con l'apparenza di mythos; il mito dell'anello di Gige, o anche quello narrato all'inizio del Protagora, sono invece espedienti per rendere immaginosamente un argomento razionale. Platone avrebbe potuto scegliere di trattare in modo analogo anche questa storia così fenicia.


Contro Trasimaco, Socrate deve dire che il soggetto morale da lui presupposto non è un dato naturale, ma un prodotto dell'educazione. Il racconto fenicio, pertanto, deve essere falso perché fa rispuntare dalla terra un'idea di natura umana che contrasta con il carattere determinante dell'educazione per la formazione del cittadino. Franco Trabattoni (Platone, Carocci, Roma, 1998, p. 188) sostiene che il contenuto del mito è anti-aristocratico: l'aristocrazia non è quella della nascita o della ricchezza, ma quella fornita da attitudini che ci sono date, e che possono essere in contrasto con la classe sociale che ci ha generato. Un agricoltore può avere come figlio un uomo d'oro, e un filosofo può essere padre di un uomo di ferro. In questa prospettiva, l'espediente retorico della nascita dalla terra e della conseguente "naturalizzazione" dell'educazione dovrebbe essere finalizzato a far "digerire" una simile idea a un uditorio portato a trovarla inaccettabile: si pensi, ad esempio, al significato sociale della parola physis. Se confrontiamo il racconto fenicio con l'apologo di Menenio Agrippa, un patrizio meno eterodosso di Platone, possiamo effettivamente renderci conto che quest'ultimo è orientato in senso assai più organicistico e gerarchico. Menenio Agrippa dà per scontato sia che l'organismo sociale esista, sia che, al suo interno, i plebei, e proprio loro, debbano essere mani asservite a stomaci patrizi.

Il Socrate della Repubblica propone un modello unitario di soggetto morale, che vale addirittura sia per il singolo uomo, sia per la polis, ma il suo mito artificiale introduce una gerarchia basata sull'inclusione e sull'esclusione in base a caratteristiche innate. In primo luogo, infatti, i cittadini vengono distinti dagli altri esseri umani, in quanto solo essi possono dirsi nati dalla terra. In secondo luogo, la gerarchia tripartita si basa su differenze fortissime e irrevocabili: il racconto fenicio della nascita e della fondazione vede le differenze fra le tre classi tanto ineluttabili e determinate quanto la costituzione materiale degli oggetti: come una cosa forgiata col bronzo non può diventare d'oro, così chi è nato artigiano non può diventare filosofo. La graduatoria di valore dei metalli con i quali gli individui vengono plasmati è giustificata solo dalle preferenze del dio demiurgo e dal fatto che gli uomini stessi condividano tali preferenze. Si potrebbe pertanto concludere che un ideale di autonomia viene attuato nella forma di una società gerarchica e soggetta alla manipolazione, ancorché ostile all'aristocrazia come veniva tradizionalmente intesa.

Lo spessore semantico del mito in Platone mi induce a suggerire un'altra ipotesi: il racconto falso serve a far capire che ogni ideale di autonomia, quando pretende di rispecchiarsi in una incarnazione storica, acquisisce un carattere ambiguo e ingannevole. Il regno della libertà realizzata, proprio in quanto si pretende tale, e produce i suoi propri miti fenici, è il più grande nemico delle libertà possibili.
Da una parte, l'autonomia non è una cosa che spunta dalla terra, ma si conquista in un lungo e doloroso processo di educazione e di confronto con gli altri; dall'altra, ogni immagine sociale e politica dell'autonomia così conquistata è una, pur necessaria, limitazione, e richiede una forma di manipolazione; dunque, per così dire, è una bugia. Per questo Trasimaco non può mai veramente essere messo a tacere.
La menzogna di Socrate è nobile, proprio perché ci rende avvertiti di questo aspetto problematico, che esiste perfino in una polis costruita nei discorsi. Sarebbe stato assai più ignobile trattare il racconto fenicio come una storia vera, in modo da conservare una reputazione di onestà intellettuale che non necessariamente - o quasi mai - coincide con l'essere davvero onesti.
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Maria Chiara Pievatolo © 1998-2000  Torna all'inizio di questo documento

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