mercoledì 27 aprile 2011

il cielo capovolto

Che ne sarà di me e di te,
che ne sarà di noi?
L'orlo del tuo vestito,
un'unghia di un tuo dito,
l'ora che te ne vai...
Che ne sarà domani, dopodomani
e poi per sempre?
Mi tremerà la mano
passandola sul seno,
cifra degli anni miei...

A chi darai la bocca, il fiato,
le piccole ferite,
gli occhi che fanno festa,
la musica che resta
e che non canterai?
E dove guarderò la notte,
seppellita nel mare?
Mi sentirò morire
dovendo immaginare
con chi sei...

Gli uomini son come il mare:
l'azzurro capovolto
che riflette il cielo;
sognano di navigare,
ma non è vero.
Scrivimi da un altro amore,
e per le lacrime
che avrai negli occhi chiusi,
guardami: ti lascio un fiore
d'immaginari sorrisi.

Che ne sarà di me e di te,
che ne sarà di noi?
Vorrei essere l'ombra
l'ombra di chi ti guarda
e si addormenta in te;
da piccola ho sognato un uomo
che mi portava via,
e in quest'isola stretta
lo sognai così in fretta
che era passato già!

Avrei voluto avere grandi mani,
mani da soldato:
stringerti così forte
da sfiorare la morte
e poi tornare qui;
avrei voluto far l'amore
come farebbe un uomo,
ma con la tenerezza,
l'incerta timidezza
che abbiamo solo noi...

Gli uomini, continua attesa,
e disperata rabbia
di copiare il cielo;
rompere qualunque cosa,
se non è loro!
Scrivimi da un altro amore:
le tue parole
sembreranno nella sera
come l'ultimo bacio
dalla tua bocca leggera.

Nella vita

Nella vita ci sono cose che ti cerchi e altre che ti vengono a cercare. 
Non le hai scelte e nemmeno le vorresti, ma arrivano... e dopo non sei più uguale. 
A quel punto le soluzioni sono due: o scappi cercando di lasciartele alle spalle o ti fermi e le affronti. Qualsiasi soluzione tu scelga, ti cambia.
E tu hai solo la possibilità di scegliere se in bene o in male.

martedì 12 aprile 2011

Vecchio?


in agosto avrò 73 anni,
quasi ora di fare le valigie
per un salto nel vuoto
ma due cose
mi trattengono:
non ho ancora scritto
abbastanza poesie
e poi il vecchio
che abita nella casa
di fianco alla mia.
vivo e vegeto,
a 96 anni.
picchia sulla finestra
col bastone
e manda baci
a mia moglie.
capisce tutto,
schiena dritta,
passo svelto,
guarda troppa tivù
ma noi
allora?
ogni tanto vado a trovarlo,
ciacola
ma non dice cazzate,
tende a ripetersi
un poco
ma vale quasi la pena
di riascoltarlo.
ero da lui
un giorno e ha detto:
"sai, presto
tirerò le cuoia…"
"mah,"ho detto io, "non ne sono
così sicuro…"
"io sì," ha detto,
"perciò, che ne diresti
di fare un cambio con casa mia?"
"certo la tua è carina."
"ma non so se puoi darmi
quello che voglio in cambio…"
"dipende, mettimi alla prova."
"bè," ha detto, "vorrei un nuovo
paio di testicoli."
Quando morirà il vicino
sarà difficile riempire
il gran vuoto che lascia.
mi sono
spiegato?

Charles Bukowski

venerdì 8 aprile 2011

Odio il cinema... mi fa pensare

Oggi ho visto un film che mi ha fatto pensare. Solo per questa ragione meriterebbe di essere definito, non un bel film, ma un buon film. Forse una critica si può fare alla chiusura, al finale, molto... buonista.
 Sto parlano di "Un mondo migliore" di Susanne Bier. Il pregio del film, secondo me è quello di aver posto il problema della violenza. In senso generale. Ha senso la violenza nel nostro paese? Nella nostra epoca? Nella nostra società? E in altre società, in altri momenti e in altri paesi? Bella domanda. Domanda alla quale non credo sia facile dare una risposta senza rifugiarsi nei luoghi comuni della nostra educazione cattolica. Non credo sia facile rispondere senza ipocrisie, dando anche alla violenza e all'odio, da sempre considerati sentimenti negativi ed esecrabili, un valenza umana. Proprio così una valenza umana. Perché è fuori discussione che nell'animo umano alberghino, contemporaneamente, sentimenti di opposta tendenza. Beh io mi sento un po' manicheo, non credo nell'idea del bene che vince sul male. Credo di più a due forze opposte che si contrappongono, due forze contemporanee e indipendenti che si bilanciano in un tentativo continuo e feroce di sopraffazione. Così mi sembra più umano, molto più umano. Ho smesso da tempo di credere alla favola bella del bene che prima o poi sconfigge il male. E' davvero un'allegoria per poveri di spirito. Se fosse vero... 
Credo che ogni uomo abbia conosciuto moti di stizza, di ira, di odio, così come di empatia e di amore. Ecco per il fatto che ogni uomo conosca questi sentimenti, questi sentimenti hanno diritto di cittadinanza dentro di noi. Caso mai, il problema è imparare a gestirli. Ogni sentimento va gestito. Anche l'amore. Perché anche l'amore se incondizionato e totale può presentare qualche rischio. Imparare a gestire i propri sentimenti, quindi anche l'odio e la sua figlia primigenia, la violenza. 
Non si legga tutto questo come l'apologia del negativo. Sarebbe semplicistico e riduttivo. Caso mai occorre fare uno sforzo nel riconoscere la paternità di sentimenti dei quali, oggi, ci si vergogna, come di un figlio disturbato, come di un errore di gioventù. 
L'animo umano è certamente multiforme, policromo, eterogeneo. Ed è con questa natura variegata e multicolore che dobbiamo fare i conti, altrimenti diventa tutto troppo facile. Nel tentativo, fariseo, di circoscrivere tutto in una griglia mentale che semplifica che ordina, che facilita, la vita e il pensiero, si corre il rischio di perdere di vista la natura complessa, articolata, macchinosa e molteplice della mente umana. E condannare senza appello una parte di noi equivale a disconoscere un proprio figlio, solo perché non aderisce al pensiero dominante. 
Tornando al film, vorrei che chi l'ha visto, e dissente con me sul tema della violenza, mi spieghi a quale genere di reazione si può pensare difronte al signore della guerra che semina morte e violenza. Indignazione? Risentimento? Sdegno? Stizza? A essere sinceri mi pare difficile. A meno che di non pensarsi come un entomologo che dall'alto osserva con curiosità e attenzione, ma senza partecipazione la vita di un'altra specie. Ma noi non siamo degli osservatori. Magari vittime. Magari carnefici. Ma osservatori no.
Mi viene da pensare alle rare volte in cui le vittime si sono trasformate in carnefici. La Rivoluzione francese, ad esempio. Fiumi di sangue. E poi il terrore... Cose che a pensarle veramente fanno venire la pelle d'oca. Teste che rotolavano giù dalla ghigliottina ad una velocità impressionante. Due milioni di morti, agghiacciante. Ma quanti sono stati i morti in silenzio? Di fame. Di freddo. Di malattie. Nel grigio delle campagne. Per anni e anni oppressi dalle richieste di una monarchia sempre più ingorda e ignara del popolo e delle sue istanze. Sempre più insensibile alle proteste dei poveri. "S'ils n'ont plus de pain, qu'ils mangent de la brioche". 
Ecco l'insipida ironia di una donna veramente insignificante... Anche lo scherzo, l'ingiuria, la beffa, il vilipendio della miseria. Di che meravigliarsi allora che ci siano stati due milioni di morti? Oppure è più realistico pensare ad una reazione meno feroce? Ad una disposizione d'animo più... cristiana? Bisognerebbe andare a dirlo a tutti quelli morti di fame, di freddo e di stenti per tutti gli anni che hanno preceduto e determinato la Rivoluzione. Cosa mai ci sarà stato dietro tutto questo? Lo sdegno forse?
A questo punto sarebbe facile, troppo facile replicare che ci sono anche altri modi, meno cruenti, di affrontare battaglie epocali. Gandhi, per esempio. O Martin Luther King... Io preferisco pensare a Malcom X...
Non mi sembra il caso di porgere l'altra guancia dopo aver preso un ceffone. Anche perché chi mi ha dato il ceffone si sentirà autorizzato a darmene un altro. E la storia è piena di esempi in tal senso.
Ma da noi, oggi, cosa sta succedendo?

domenica 3 aprile 2011

Com'è profondo il mare


Ci nascondiamo di notte 
per paura degli automobilisti 
dei linotipisti 
siamo i gatti neri 
siamo i pessimisti 
siamo i cattivi pensieri 
e non abbiamo da mangiare 
Com'è profondo il mare 
Com'è profondo il mare 

Babbo, che eri un gran cacciatore 
di quaglie e di fagiani 
caccia via queste mosche 
che non mi fanno dormire 
che mi fanno arrabbiare 
Com'è profondo il mare 
Com'è profondo il mare 

E' inutile 
non c'è più lavoro 
non c'è più decoro 
Dio o chi per lui 
sta cercando di dividerci 
di farci del male 
di farci annegare 
Com'è profondo il mare 
Com'è profondo il mare 

Con la forza di un ricatto 
l'uomo diventò qualcuno 
resuscitò anche i morti 
spalancò prigioni 
bloccò sei treni 
con relativi vagoni 
innalzò per un attimo il povero 
ad un ruolo difficile da mantenere 
poi lo lasciò cadere 
a piangere e a urlare 
solo in mezzo al mare 
Com'è profondo il mare 

Poi da solo l'urlo 
diventò un tamburo 
e il povero come un lampo 
nel cielo sicuro 
cominciò una guerra 
per conquistare 
quello scherzo di terra 
che il suo grande cuore 
doveva coltivare 
Com'è profondo il mare 
Com'è profondo il mare 

Ma la terra 
gli fu portata via 
compresa quella rimasta addosso 
fu scaraventato 
in un palazzo,in un fosso 
non ricordo bene 
poi una storia di catene 
bastonate 
e chirurgia sperimentale 
Com'è profondo il mare 
Com'è profondo il mare 

Intanto un mistico 
forse un'aviatore 
inventò la commozione 
e rimise d'accordo tutti 
i belli con i brutti 
con qualche danno per i brutti 
che si videro consegnare 
un pezzo di specchio 
così da potersi guardare 
Com'è profondo il mare 
Com'è profondo il mare 

Frattanto i pesci 
dai quali discendiamo tutti 
assistettero curiosi 
al dramma collettivo 
di questo mondo 
che a loro indubbiamente 
doveva sembrar cattivo 
e cominciarono a pensare 
nel loro grande mare 
Com'è profondo il mare 
Nel loro grande mare 
Com'è profondo il mare 

E' chiaro 
che il pensiero dà fastidio 
anche se chi pensa 
è muto come un pesce 
anzi un pesce 
e come pesce è difficile da bloccare 
perché lo protegge il mare 
Com'è profondo il mare 

Certo 
chi comanda 
non è disposto a fare distinzioni poetiche 
il pensiero come l'oceano 
non lo puoi bloccare 
non lo puoi recintare 
Così stanno bruciando il mare 
Così stanno uccidendo il mare 
Così stanno umiliando il mare 
Così stanno piegando il mare 


Le invasioni barbariche


In un film discretamente noto di qualche anno fa, Le invasioni Barbariche del regista canadese Denys Arcand (di cui si consiglia caldamente la visione a chi non l’abbia già fatto), ad un certo momento uno dei protagonisti afferma un concetto rivelatore: «Contrariamente a quanto si ritiene, l’intelligenza non è una caratteristica individuale, è un fenomeno collettivo, nazionale, intermittente», e cita a esempio l’Atene del V a.C., in cui si trovarono a vivere personaggi del calibro di Euripide, Sofocle, Platone, Socrate, Fidia e altri ancora, tra pensatori, letterati, artisti e strateghi, tutti pressoché contemporanei, tutti cittadini dell’Atene di Pericle, la prima grande democrazia – parziale certo quanto si vuole, imperfetta, schiavista, zeppa di disuguaglianze sociali ma, di certo, una miniera di intelletti sublimi, concentrati in uno stesso spazio socio-culturale.
Un caso? No, l’intelligenza è contagiosa, le idee si cibano di idee, ogni idea rappresenta il gradino sul quale il prossimo individuo può poggiare il suo ingegno e superare il precedente. Quello che il film non dice, o lascia solo intuire, è che purtroppo, questa “scala” ideale, funziona tanto in salita, quanto in discesa. Anzi, la natura ci insegna che scendere è più facile che salire (si asseconda una forza fisica, anziché opporlesi); allo stesso modo, la stupidità non comporta alcuno sforzo perché si affermi: basta lasciarsi andare e in un attimo ci si ritrova in un baratro culturale.
I personaggi pubblici, che siano della politica, dello spettacolo, dell’arte o della cultura, hanno, da questo punto di vista, una responsabilità enorme. Con la loro sola visibilità sono in grado di orientare il pensiero collettivo, illuminando certi strati della società piuttosto che altri, allargando o restringendo la tolleranza verso determinati atteggiamenti, giustificando comportamenti e posizioni. In breve, essi possono dirigere l’andamento del pensiero del paese in senso ascensionale – ossia provocando all’intelligenza – oppure, ahinoi, in senso discensionale, provocando alla stupidità.
E noi in che momento intellettivo siamo? Siamo, ad esempio, in un momento in cui un altofunzionario di un ente scientifico di livello mondiale può affermare che due personaggi letterari furono persone in carne e ossa, con quella specifica identità descritta nella narrazione, e che da essi nacque l’intero genere umano. E quasi nessuno che faccia una piega: è un’opinione come un’altra e c’è libertà di espressione – ci hanno insegnato a ripetere a pappagallo.
Si entra così in un circolo vizioso in cui, come in una spirale perversa, il cattivo si specchia nel peggiore, si sente incoraggiato, e inizia il gioco al ribasso. Così, accade che un sottosegretario può dichiarare di aver acquisito un Master in un’università dove non l’hanno neanche mai vista. Ma nessuno si scompone, chi non ha gonfiato un po’ il proprio curriculum almeno una volta? Accade anche che un patrimonio mondiale dell’umanità, Pompei, vada in rovina e il ministro deputato a difenderlo dichiari: «Non creiamo allarmismi». Dopo tutto, sono solo sassi vecchi. Ci si ritrova, così, in un paese in cui, a fronte della più grave crisi politica, sociale e umanitaria che il Mediterraneo abbia mai visto negli ultimi decenni, e che richiede un dispiegamento di forze economiche, strategie diplomatiche, azioni mirate e coordinate, ancora un altro ministro di Governo risolva la questione dicendo: «Foera di ball». Plauso: il ministro è uno dei nostri, è come noi.
In questo deserto culturale senza tempo, in cui l’importante è, come dicevano i Greci sofisti, peithéin kai psychagogéin (persuadere e affabulare, potremmo tradurre), tutto è opinione, la conoscenza, la competenza, la cognizione reale dei fatti, spariscono in nome di una fraudolenta democrazia in cui tutti (ossia anche chi non ne ha le competenze) possono ambire a ricoprire cariche pubbliche e di eccellenza. Ciò è molto rinfrancante per alcuni, ma dovrebbero sapere che i Greci non chiamavano ciò democrazia; avevano un termine meraviglioso e preciso per descrivere questa condizione:oclocrazia, governo della feccia.
Osiamo dunque essere intelligenti, e risaliamo quella scala prima che i miasmi della decomposizione culturale ottundano gli ultimi ingegni rimasti.
Alessandra Maiorino