giovedì 19 aprile 2012

Non si può delegare degli incapaci, quindi tanto vale non delegare.

Tutti i partiti hanno dimostrato di essere in qualche modo un'esperienza fallimentare, chi per disonestà, chi per incapacità, chi per tutte e due le ragioni. Oggi occorre riflettere su questa crisi, e cominciare a pensare ad una politica gestita con modalità differenti dal passato. Una partecipazione più diretta, dove il concetto democratico non si esprime nel dare la voce a tutti, indistintamente, ma dare voce alle idee, alle buone idee. Da qualunque direzione vengano, salvo che portino beneficio agli uomini. Forse è il momento, e potrebbe essere pericoloso lasciarselo sfuggire, di mettere in seria crisi il sistema dei partiti. Forse è arrivato il momento di licenziare Monti, Fornero, Passera, ma anche Casini, Alfano, Bersani, Berlusconi... E tutti gli altri. Non salvare nessuno. E' arrivato il momento di fare la rivoluzione, ma senza sangue, è il momento di far rotolare le teste, anche se in modo figurato. Mandare a casa chi ha ampiamente dimostrato di essere un incapace. Credo che le persone si debbano riappropriare di decisioni e di responsabilità, ed è una cosa che non possono fare tutti, ma che tutti devono in qualche modo favorire, ciascuno secondo le proprie capacità. Abbandonando differenze strumentali di genere, di razza o di religione. Senza avere pregiudizi verso le persone intelligenti e oneste, che siano cristiane, musulmane o atee, di sinistra, di destra o di chissà dove. Rifiutare i pregiudizi che derivano dalla paura e dalla diversità. Nutrire pregiudizi solo per i pregiudicati.

lunedì 16 aprile 2012

Sono maschilista... o no? Vado a vedere sul dizionario





Fino a ieri ero convinto di essere maschilista. Me lo ha detto mia moglie. E anche diverse mie amiche. Sono donne colte, intelligenti e impegnate. Non potevo non crederci. All'inizio, me ne sono fatto una ragione, poi ho cercato di capire quali fossero i pensieri e le azioni che determinavano una classificazione così... negativa. Infine, equivocando ho finito per credere che non solo fosse vero, ma che questo mio "sentire" avesse una sua ragion d'essere. Sono figlio di una donna non molto colta , ma sensibile e intelligente, una donna che ha conosciuto il sole e la pioggia, che ha visto la pace e la guerra, che ha provato sulla sua pelle l'amore e la violenza. La violenza di un uomo. Come potevo essere un maschilista? Eppure lo dicono molte donne, e se davo per scontato che queste donne (che stimo) avessero ragione... Allora vuol dire che sono proprio un maschilista. Finché non mi è venuto in mente di scrivere di questo mio essere "machista". Quasi fosse un modo di esorcizzare il mio mostro personale. Allora, prima di scrivere, ho cercato di spiegarmi perché era giusto essere maschilisti.
Perché siamo diversi, biologicamente, mi sono detto... Una parte del nostro corpo è diversa. E questa parte, come in tutti sistemi complessi, è in relazione e dipendenza con le altre parti del corpo. Voglio dire che il sistema riproduttivo, interagisce con tutti gli altri sistemi corporei, cervello compreso, e determina un diverso modo di vivere, e di pensare. Diverso dal genere maschile. Nel corso dell'evoluzione questo divario si amplifica. Anche in altre forme zoologiche, ci sono delle diversità tra i generi. Diversità che sono "motivate" dall'evoluzione, in un differente uso del corpo, in una diversa funzionalità. Come le api ad esempio. E in altre specie animali. Anche nell'uomo il maschio è più alto, più strutturato fisicamente, più aggressivo ecc. La femmina ha un apparato riproduttivo che consente la continuazione della specie. Queste differenze fisiche, per il Pitecantropus Herectus probabilmente non costituivano una fonte di tensione. Tensione, non diversità. Perché anche il Pitecantropo mica era scemo, le differenze le vedeva benissimo. Ma ognuno faceva il suo... e tutto andava bene. Anche io faccio il mio. Ma per mia moglie e le mie amiche (che per altro mi stimano) non va bene. Anche quello che fanno i mariti delle mie amiche (qualcuno è anche amico mio) non va bene, per le mie amiche... A volte mi domando se non ci sia un po' di presunzione nell'atteggiamento di mia moglie e delle mie amiche...
O forse nessuna di loro si è presa la briga di andare a vedere, sul dizionario, quale fosse la definizione corretta, di queste due parole.

MASCHILISMO [ma-schi-lì-smo] s.m. • Atteggiamento per cui l'uomo si reputa superiore alla donna in contesti sociali e privati.
FEMMINISMO [fem-mi-nì-smo] s.m. • Movimento sorto nell'Ottocento che propugna la perfetta parità di diritti fra la donna e l'uomo; oggi ha esteso le sue rivendicazioni a ogni campo della vita sociale puntando alla valorizzazione della sensibilità e della cultura femminile.

Quindi maschilismo significa, in buona sostanza, atteggiamento psicologico sbagliato, mentre femminismo sta, più o meno, a movimento politico (non posso dire movimento sociale per ovvie ragioni). Ma allora sono due cose incommensurabili, così come le rape e le scarpe, o le iarde e millilitri... Pensare che ero convinto (e come me tante altre persone) che una cosa fosse il contrario dell'altra... Ma che ignorante...
Ma allora io non sono maschilista, anche se certo mi ritengo una persona migliore della moglie di Silvio, di quella di Andrew, di Radu oppure mi sento più intelligente di Nicol o di Mara o di Daniela... Ma anche Ivana si ritiene migliore di me o di Carlo oppure di Alfredo... Vuol dire che anche lei è maschilista? Lei sostiene di no. Anche Nadia dice di non essere maschilista, anche mia moglie sostiene la stessa cosa.
Forse non siamo in contrapposizione... siamo semplicemente diversi, come i pitecantropi, e ognuno fa il suo... o no?
Mi ricordo di un amico di Genova che aveva scritto un libro il cui titolo era: "Sei uomo, lupo o caccola di caprone?"
Ma allora sono maschilista o femminista? Sono di sinistra? Sono un cremino oppure sono un pollo?
Sono solo un uomo. E sfido chiunque a dire che sia una cosa facile...
 

Fotografia: la resa dei conti



Anche per la fotografia, così com'è nell'immaginario collettivo è arrivata l'ora della resa dei conti. E' arrivata l'ora di fare i conti con una tecnologia sempre più presente, a tratti anche invadente, ma ineludibile sia che la si veda positivamente, sia che la si avverta come invadente e scomoda. Sostanzialmente, si tratta di fare i conti con il "digitale". La scomposizione dell'immagine in vari strati, in diversi livelli, in diverse aree di lavoro, all'interno delle quali sia possibile un intervento. Ed è sostanzialmente questo aspetto che mette in crisi, in profonda crisi secondo me, i paradigmi che costituiscono l'idea formale della fotografia. L'espressione è, diciamo così, dubitativa, perché se la veridicità della fotografia, dava un senso di tranquillità, allo stesso tempo non convinceva più di tanto. In altre parole, da qualche anno questa "virtù della fotografia tradizionale, non appare più come un valore reale. Ma poi per quale motivo si ricorda una fotografia, se non per il suo grado di alterazione, di modificazione del mondo reale? Anche se poi in modo molto farisaico si sostiene esattamente l'opposto. In buona sostanza e anche molto umilmente, la tecnologia digitale sollecita una rivalutazione della percezione finale, attraverso un modo nuovo, più aperto e sperimentale, dove gli aspetti, gli elementi, i componenti dell'immagine sono organizzati, studiati, sperimentati e amplificati fino, e oltre il limite stesso della manomissione. Del resto occorre fare una precisazione, la fotografia è essenzialmente una tecnica, e in quanto tale nasce da precise conoscenze meccaniche, ottiche e chimiche. All'inizio, al suo debutto sulla scena mondiale, ai primi dell'ottocento, la fotografia viene salutata con entusiasmo, come espressione del nuovo mondo, dell'industrializzazione, del nuovo che avanza... Fino a che qualcuno la volle inserire nel novero delle "nuove arti". Allora i puristi si ritrassero scandalizzati, scavando una profonda trincea tra l'arte e la tecnica, ignorando, o fingendo di ignorare che una tecnica fondamentale alla base della fotografia, veniva già utilizzata dagli artisti già dal cinquecento. Attegiamento ipocrita, potremmo dire... Già, né più né meno di quello di coloro che condannano l'intervento digitale sulle immagini. Ignorando che il vero depositario dell'immagine stessa, la vestale della rappresentazione non è l'autore, il fotografo, ma il fruitore finale, quello cui l'immagine è diretta, a cui l'immagine dà qualcosa, che sempre più spesso non è la mera informazione circa un evento del mondo reale, ma molto più frequentemente una serie di informazioni, sempre più complesse, sempre più raffinate, sempre più subliminali. E sempre più potenti. Oggi, anche in grado di indirizzare le scelte dei destinatari finali. Fotografia figlia della tecnica... della scienza... Quindi, sostanzialmente non è cambiato niente, dai primi anni dell'ottocento ad oggi, e allora perché ci sono ancora i puristi che gridano allo scandalo, additando meravigliati, increduli, e offesi l'intervento digitale nella fotografia, come fosse un tentativo di far abortire l'arte, come se si trattasse di una contaminazione che porta diretta alla morte dell'idea, all'imbastardimento della razza...
Ma purista, secondo me, fa rima con assolutista, con integralista, con talebano, e questo non mi piace.
 

Olivetti-Jobs: 4-0

Sto pensando al tanto celebrato mito di Steve Jobs. In libreria ci sono ancora i "libri-coccodrillo intitolati" a lui. Ma solo una generazione di persone superficiali ed individualiste celebra il mito di un uomo, che sì, merita un riconoscimento, ma senza andare oltre il giusto. Il suo interesse privato è sempre stato il perno intorno al quale si sono sviluppate le idee. Che io sappia Jobs non hafatto niente che sia lontanamente paragonabile a quello che ha realizzato Adriano Olivetti, in termini di ricerca, di innovazione tecnologica, di cultura e anche di politica. Per non parlare di dialogo con i sindacati e investimenti sociali.
Fra due mesi è l'anniversario della sua scomparsa. Voglio pensare che esistano nel nostro paese, ma non solo, persone come lui, alle quali voglio dedicare la mia stima. E alle quali vorrei chiedere di salvarci. Prima di tutto da noi stessi.

Uomini di chiesa

Mi piace Don Gallo, mi piace l'uomo che incarna, che rappresenta. Mi piace il suo essere simbolo, icona, immagine di una umanità alla quale ambisco e mi sforzo quotidianamente di appartenere. Una umanità generosa, giusta, solidale, comprensiva. Non so, a essere sincero, se ci riesco, ma il mio riferimento è quello. Vorrei essere come Don Gallo, mio personalissimo feticcio, mio rappresentante personale, mio attore preferito di questa scena umana, che più "umana" non si può. Eppure siamo così diversi. Simili, ma anche diversi. A parte che lui è sincero e generoso, e io non tanto... Lui è un ottimo cristiano, io un po' meno, ma sempre cristiano, cioè faccio miei gli insegnamenti del Cristo. La differenza è che lui crede in Dio, io no. Non nel Dio del quale si parla nelle chiese la domenica mattina, per lo meno. Non credo nell'esistenza di una entità superiore così definita, così umana e così poco "umana"... Non mi piace il dio feticcio che giudica e punisce. Non sopporto l'idea di un essere superiore che si abbassa alla vendetta personale. Preferisco un dio meno umano ma più "umano", un dio che è davvero superiore alle mie e alle altrui sofferenze, ma non perché è troppo occupato a riscaldar la gente d'altri paraggi... Mi piace il dio dei pellerossa, il dio di Spinoza, il dio di Socrate e di Platone, il dio che non ha un nome né una nazione, ma che è veramente di tutti.
In questo siamo diversi, io e Don Gallo. Ma magari il dio al quale crede somiglia un po' a quello al quale credo anch'io. Ma allora mi domando... Cosa c'entra lui con la chiesa cattolica?

Andare a puttane...

Ho visto la pubblicità di Sean Penn, Justin Timberlake e quell'altro (non so come si chiama) contro la prostituzione. Tutti e tre belli, fighi e ricchi che si gongolano con sto cartello al collo che dice "un vero uomo non paga le donne".
Devo dire che mi fa un po' sorridere. E mi fa anche un po' rabbia. A parte che non ci credo, non mi interessa nemmeno se Sean Penn ha mai frequentato prostitute. Sono affari suoi. Sono scelte che riferiscono esclusivamente alla sua sfera privata. Se lo ha fatto vuol dire che ne aveva bisogno, io mi astengo da un giudizio morale. L'importante è che abbia pagato, e che sia sia comportato correttamente. Pagare una donna non significa offenderla, altrimenti tutte le donne che lavorano dovrebbero farlo gratis... e questo francamente mi pare un po' troppo. L'importante, dicevo, è che abbia pagato per la prestazione ricevuta, che si sia astenuto da procurare qualsiasi tipo di violenza, morale, verbale o fisica che sia. Ora vorrei dire che trovo veramente arrogante e soprattutto maschilista questa ostentazione di superiorità. "Io sono figo, e non pago un cazzo per fare sesso con una donna" questo è il messaggio che mi arriva. Diretto e inequivocabile. E poi che cos'è un "vero uomo"? E' forse uno che non deve chiedere mai? E' forse uno che ha il testosterone sempre a mille? E forse uno che è assolutamente e completamente eterosessuale? Insomma è forse uno con le palle?
Non so perché ma mi viene in mente Antonio Albanese in "Cetto La Qualunque"... e del suo imitato ex presidente del consiglio.
Questa ostentazione di presunta superiorità mi fa pensare, anzi mi fa credere che la realtà sia molto diversa. Che gli uomini frequentino prostitute è un dato di fatto. E non succede da ieri. E che succederà anche domani, è un dato altrettanto assodato. Del resto è una legge di mercato, quando c'è una richiesta di una merce, sul mercato appare chi la vende. E questo non mi disturba affatto. Quello che non tollero è che qualcuno ci lucri sopra. Che qualche intermediario si inserisca nel rapporto tra produttore e consumatore, senza averne diritto, con modi e metodi da fuorilegge. Che una donna decida di fare la prostituta, è una scelta che concerne la sua sfera privata, punto e basta. Che un uomo decida di usufruire di questo servizio, anche questo concerne il suo privato. Ma non ci deve essere nessun altro un questo rapporto a due. E nemmeno ci deve essere arroganza, violenza e sopraffazione. Devo dire, con tutta onestà, che se io, oggi, dovessi scegliere se fare l'addetto delle pulizie nei bagni di un autogrill, oppure fare la prostituta, opterei per la seconda scelta. E non si scandalizzino tutti quelli che sono anche tentati da facili battute, vuol dire che non sono mai stati nei bagni di un autogrill in agosto...
Certo, farei la puttana, cercherei di farlo bene, in modo sicuro, igienico, protetto, anonimo e comodo. Penso che lavorerei meno possibile, con una clientela più possibile selezionata ecc. ecc. E probabilmente guadagnerei più del mio medico di base, più della mia colf, più di quello che prendo io di pensione. Con buona pace di tutti quelli che la domenica mattina vanno a ripulirsi l'anima a buon mercato...
Ah, devo dire che Sean Penn mi sta anche simpatico, non fosse altro che per aver sopportato quella bagascia di Veronica Ciccone.

Articolo 18 addio...

Stanno cambiando le norme che regolano il lavoro. Le norme che determinano i rapporti di lavoro, cioè le relazioni tra lavoratori e datori di lavoro. Tra padroni e sotto, avrebbe detto mio nonno. E tra poco torneremo tutti a dire così, perché quello che sta succedendo oggi, sotto gli occhi di tutti, fra l'incredulità di alcuni e l'indifferenza complice e beota di molti, è uno stravolgimento, non un cambiamento ma un annullamento dei rapporti tra lavoratori e padroni. Un cambiamento epocale che riporterà la classe lavoratrice indietro di circa un secolo. Per lo meno per quanto riguarda il ceto medio e quello basso. Si sta compiendo, in un silenzio da anestesia totale, un espianto dei diritti. In anestesia totale, non a caso uso questo parallelo, perché dolore se ne sente poco, anestetizzati come siamo dal (relativo) benessere, dalla tivù spazzatura, da una informazione addomesticata (anche quella politicizzata) e da una morale che ci impedisce fisicamente di ribellarci. L'effetto di questo cambiamento, anzi gli effetti (secondo me) saranno diversi e tutti nefasti. A breve termine assisteremo ad un lento, ma progressivo e inesorabile indebolimento dei sindacati. Con buona pace di tutti quelli, operai compresi, che dicevano che i sindacati non servono, che sono tutti venduti, ecc. E grazie anche all'opera dei sindacati gialli, e alla costante erosione psicologica di tutti i media non politicizzati. L'indebolimento dei sindacati avrà come conseguenza immediata una caduta del costo del lavoro, per evidenti ragioni. Effetto a medio termine, la ripresa economica (ma solo per la classe imprenditrice). Effetto a lungo periodo, invece sarà la scomparsa totale, del ceto medio e, come conseguenza diretta, l'annullamento della democrazia...
Sta cominciando il lungo crepuscolo... ma come diceva Eduardo "a da passà a nuttata..."
Sono una Cassandra? Non credo.